Gli apologeti del neomalthusianesimo animalista


2014-09-03
Egregio direttore,
intendo rispondere all'editoriale dell'antropologo Canestrini del 31 agosto scorso intitolato “Troppi orsi? No, troppi uomini”, anche considerato che lo stesso irride la mia richiesta di autorizzare la libera vendita dello spray anti-orso al peperoncino.
Tra l'altro Canestrini utilizza l'argomento in modo incoerente rispetto alle sue premesse che non sia corretto sviare un discorso parlando d'altro: “Sono più importanti i curdi o i galli cedroni?”.
Ebbene dire che lo spray al peperoncino è inefficace nei confronti dei pirati della strada è appunto parlare d'altro e comunque lo spray non è letale e crea solo un'irritazione temporanea, quindi non c'entra nulla nemmeno con gli automatismi atavici di caccia, sterminio o cattura.
Canestrini poi prosegue sulla stessa strada di incoerenza affermando che il vero pericolo non sono i predatori ma gli infarti, gli incidenti stradali, il cancro, l'abuso di alcol, i pedofili in internet, le guerre, senza che si riesca a capire bene quale sia il senso ultimo del suo discorso.
Sconcerta però che un antropologo, utilizzando argomenti al più suggestivi, banalizzi vicende concrete, affermando che è giusto avere paura dell'orso, perché il bosco deve conservare mistero, tanto poi l'orso scappa, e questo all'indomani di una grave aggressione, riguardo alla quale sarebbe stato semmai da osservare che si sono visti meccanismi di colpevolizzazione e denigrazione della vittima questi sì primitivi.
Dovendo prevalere il mistero ed essendo la tecnologia una sorta di peccato mortale, sembrerebbe quasi che Canestrini aspiri a un'esperienza della montagna priva di qualsiasi cautela.
Andiamo pertanto in montagna senza guarda le previsioni del tempo, senza supporti tecnologici, magari con gli infradito e gli shorts, altrimenti perdiamo il gusto del mistero!
Pure banalizzante è paragonare la reintroduzione degli orsi in Trentino con una riserva di 24.000 ettari in Sudafrica. Intanto gli orsi non sono in una riserva a girano liberi in un territorio altamente antropizzato causando danni ad agricoltura e allevamento che solo in parte vengono risarciti. E poi non si ha idea delle proporzioni: tutti gli alpeggi dell'altopiano di Asiago, per fare un esempio, sono grandi 8.000 ettari. Quello che si può fare in un paese con grandi spazi non è quello che si può fare da noi.
Vi sono però due idee di fondo dell'articolo di Canestrini che sono molto più preoccupanti della serie di superficialità appena esaminata.
Una è l'idea neomalthusiana: gli uomini sono troppi. Ci vuole allora suggerire Canestrini quanti e come eliminarne?
L'altra è l'idea animalista che libertà, dignità e vita degli animali avrebbero lo stesso valore di quelle dell'uomo e che l'attuale gerarchia di valori, che è invece diversa, sarebbe immorale e antropocentrica.
Ebbene questa idea intanto è incoerente perché se così fosse ci dovrebbe essere maggiore tutela degli animali domestici, che invece possono essere liberamente sbranati dai predatori perché “quella è la loro natura”. Come se questa non fosse una gerarchia.
E poi questa ideologia è sovversiva e fomenta la violenza, per fortuna fino adesso prevalentemente verbale. Sarebbe il caso di smetterla di dare cattivi insegnamenti ideologici. Abbiamo già visto questo film, non è finito bene e non ci è piaciuto.
Cordiali saluti
Mario Giuliano

(pubblicato su L'Adige 3 settembre 2014

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Ci sono troppi orsi? No, troppi uomini
DUCCIO CANESTRINI
Sono più importanti i curdi o i galli cedroni? Che razza di domanda. Eppure c’è chi continua a farne, domande così.
Tendenziose. Perché chiaramente si vorrebbe sentirsi rispondere: i curdi! E invece no.
La risposta «giusta», tra virgolette, è che sono importanti sia i curdi, sia i galli cedroni. Durante un viaggio in Sudafrica, venti anni fa, ho conosciuto il proprietario di una riserva naturale, Clive Walker, al quale chiedevano spesso: ma scusi, sono più importanti i rinoceronti o le persone? E ogni volta Clive rispondeva che quella domanda era sbagliata.
Clive Walker aveva fatto il pilota d’aereo in Kenya, il cacciatore in Mozambico, il ranger in Botswana per poi diventare direttore del Wilderness Trust del Sudafrica e presidente della Rhino and Elephant Foundation, impegnato nella tutela dei pachidermi. Finalmente aveva capito che uomini e rinoceronti hanno uguale importanza e sono proprio la stessa cosa, se quella «cosa» si chiama vita e coesistenza nello stesso ecosistema. Vale per orsi, gorilla e squali martello. Non c’è una natura, né una ecologia, che stia fuori di noi. Così come non c’è un ambientalismo che non sia anche una nostra sociologia. Siamo tutti sulla stessa barca Terra, non ho dubbi che anche San Francesco, senza essere animalista, la pensasse così. Senza essere santo, Clive Walker aveva soprattutto a cuore le sorti dei bambini miserabili del ghetto di Soweto.
Se dunque una persona si appassiona al canto dei cervi in amore non è detto che sia sordo ai lamenti degli sfrattati di Los Angeles o al pianto dei negretti affamati. Non è vero e non è giusto dire che chi ha cuore per una causa etica è colpevole di trascurarne un’altra. Perché, volendoci alzare di cattivo umore, possiamo essere angosciati sia per l’estinzione del panda, sia per le lapidazioni delle donne adultere in Iran. Volendo invece alzarsi di buonumore, si può essere felici per ogni tipo di liberazione, tanto umana quanto animale. Detto per inciso, chi accusa Greenpeace di occuparsi di balene e non dei terremotati delle Ande, per questi ultimi concretamente di solito non fa nulla.
Veniamo a noi. Troppi orsi? Ma se un alieno osservasse dall’alto la piccola regione dove viviamo e il suo computer di bordo gli fornisse automaticamente informazioni sulle popolazioni di grandi mammiferi, il data base direbbe cinquecentomila ominidi, centomila bovini e cinquanta ursidi. Se la categoria del «troppo» va applicata a una di queste tre famiglie, sicuramente non è quella degli orsi. Troppi siamo noi, casomai.
Mentre oggi a Capri si nuota fra aliscafi e traghetti, il giornale «la Repubblica» mostra le foto dei dieci «paradisi incontaminati» e cioè i dieci luoghi meno visitati del mondo. Da noi uomini, s’intende, perché evidentemente abbiamo coscienza della nostra invasività e onnipresenza.
La paura del selvatico è un interessante sentimento primitivo, da studiare e magari anche da coltivare, ma senza isterismi. Che i boschi conservino mistero è necessario e affascinante, mentre oggi sembra che l’ambiente naturale debba essere campo, palestra o parco giochi. Avere paura dell’orso è invece giusto e bello (tanto scappa, non ci sbrana). Avere paura del pirata della strada è giusto ma non è bello. E quello sì che ti stira, anche se gli spruzzi sul parabrezza lo spray urticante al peperoncino un attimo prima che ti metta sotto.
Pieni di tecnologia come siamo, con geolocalizzatori satellitari e accesso a varie realtà virtuali, ci mettiamo a gridare «Al lupo!», come migliaia di anni fa, senza renderci conto che i veri pericoli sono altri. I nostri nemici sono gli infarti, gli incidenti stradali, il cancro, l’abuso di alcol, i pedofili in internet, le guerre. Ora se questo report obiettivo, fornito dalla strumentazione di bordo di un alieno in orbita, per noi non è un quadro chiaro, qualche motivo ci sarà. Per un verso siamo assuefatti ai comfort di cui ci dotiamo, per l’altro siamo sconvolti da una recessione economica che rimescola carte e certezze, risuscitando antiche paure. Non ci sarà più petrolio, non ci sarà più gas, mamma mia, dovremo andare a far legna con gli smartphone scarichi nei boschi pullulanti di orsi feroci.
Senza entrare nel merito del progetto di reintroduzione Life Ursus, è evidente che vi sia stata poca informazione, poca trasparenza, poca educazione. Quando Clive Walker ha reintrodotto il rinoceronte nero quasi estinto in Sudafrica, ha invitato nella sua riserva di 24 mila ettari di Lapalala centinaia di bambini provenienti dal degrado del ghetto di Soweto per fare «Environmental education». Una scuola di natura, ovviamente gratuita. Stai a vedere che invece di pretendere di dare lezioni di gestione a tutto il mondo, potremmo imparare qualcosa.
Forse dovremmo trovare il tempo per fermarci un po’ a pensare. Con un ragionamento di alto (stratosferico?) respiro appare antropocentrico e forse anche immorale assegnare gerarchie, quando si parla di libertà, di dignità e di vita. Le quali non sono privilegi dei trentini né de quei che ven da fora, né dei pinzoleri, né dei sudafricani. La libertà degli orsi e dei rinoceronti non vale più dell’uomo. La libertà dell’uomo non vale più degli orsi. La libertà è uguale per tutti. Chi vuole far prevalere il diritto dei tanti sui pochi, dei cinquecentomila sui cinquanta, è fuori dal tempo.
L’atavica guerra al selvatico, stravinta dall’uomo a partire dal Mesolitico, è un retaggio antropologico importante, ma restare in balia di automatismi di caccia, sterminio o cattura non è sensato. Altrimenti qualcuno, lassù, dovrebbe toglierci di mano le tecnologie belliche, le manipolazioni genetiche, le protesi informatiche. Perché noi, che non solo ci riteniamo più importanti di tutte le altre specie, ma ci comportiamo anche da prepotenti, noi uomini sì che siamo pericolosi.

(pubblicato su L'Adige 31 agosto 2014)